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Evidenza di una relazione tra farmaci anticolinergici e demenza negli anziani


Un nuovo studio ha fornito la più forte evidenza che i farmaci anticolinergici possono aumentare il rischio di demenza negli anziani.
Si ritiene che gli anticolinergici siano assunti da circa il 20% della popolazione adulta anziana per molte condizioni.

Dallo studio è emersa una relazione dose-risposta tra il consumo di farmaci anticolinergici e il rischio di sviluppare demenza: più alto è l'utilizzo, maggiore è il rischio.

Anche le persone che assumono solo la dose minima efficace di questi farmaci per periodi prolungati sono risultati a maggior rischio per la demenza rispetto a quelli che non assumono anticolinergci.

Anche studi precedenti avevano riscontrato una relazione tra anticolinergici e problemi cognitivi.

Lo studio di popolazione ha coinvolto 3.434 adulti anziani ( età media, 73 anni ).
I pazienti sono stati seguiti per una media di 7.3 anni con screening per la demenza ogni 2 anni.
Circa il 20% della popolazione stava impiegando farmaci anticolinergici.

I ricercatori hanno stabilito una dose minima efficace per ciascun farmaco anticolinergico e hanno calcolato l’esposizione cumulativa, che è stata definita come il totale delle dosi giornaliere standardizzate ( TSDD ) dispensate negli ultimi 10 anni.

Durante il periodo di follow-up, 797 partecipanti ( 23.2% ) hanno sviluppato demenza, e 637 di questi ( 79.9% ) hanno sviluppato la malattia di Alzheimer.

Una relazione dose-risposta cumulativa a 10 anni è stata osservata per la demenza. Una simile correlazione è stata notata anche per la malattia di Alzheimer.

Le persone che hanno assunto una dose minima efficace di un farmaco anticolinergico, a cadenza giornaliera per 3 anni, sono stati classificati come soggetti a rischio elevato.
Inoltre i soggetti potevano entrare nella categoria più alta di rischio anche assumendo la dose minima efficace in modo sporadico nel corso di un periodo più lungo, o prendendo una dose più elevata per un periodo più breve. ( Xagena2015 )

Fonte: JAMA Internal Medicine, 2015

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